TERAPIA FARMACOLOGICA: TRA LEGITTIMI DUBBI E FALSI MITI

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La prescrizione di una terapia farmacologica costituisce uno degli aspetti cruciali e più delicati nella pratica clinica dello psichiatra. Proporre al paziente l’opportunità di assumere degli “psicofarmaci” si scontra quasi sempre con un’iniziale diffidenza, alimentata da legittime perplessità e timori ma anche dai “falsi miti” e “leggende” che circolano intorno a questa categoria di medicinali. Rassicurare ed informare il paziente rappresenta una premessa necessaria per rafforzare l’alleanza terapeutica e favorire un approccio sereno all’assunzione del farmaco. A prescindere dalla specifica terapia è quindi importante chiarire degli aspetti generali.
1) la prescrizione di una terapia farmacologica per il trattamento dei disturbi mentali è un atto medico che come tale deve ispirarsi ai principi della “Evidence-based medicine”, sintetizzate nelle linee guida di riferimento e derivanti dall’esame rigoroso della letteratura scientifica di riferimento. Proprio perchè gli studi clinici si succedono rapidamente e nuove evidenze si accumulano, può accadere che le indicazioni all’impiego di un farmaco non siano tutte elencate nel foglietto illustrativo del farmaco.
2) l’impiego dei farmaci è imprescindibile nel trattamento di alcuni gravi disturbi mentali (schizofrenia, disturbi psicotici, grave disturbo ossessivo compulsivo). Illudersi di poter trattare tali patologie senza un supporto farmacologico corrisponde grosso modo al pensare di poter curare una grave infezione coi salassi.
3) nel trattamento dei disturbi d’ansia o delle sindromi depressive, la terapia farmacologica è riservata alle forme di gravità medio-alta in cui il disturbo risulta essere assai disfunzionale. In questi quadri la terapia farmacologica non è sostitutiva ma deve integrarsi con un adeguato percorso di psicoterapia, preferibilmente a cura di un altro professionista. Mitigare farmacologicamente alcuni gravi sintomi è spesso una condizione imprescindibile perchè la psicoterapia sia di beneficio o possa anche aver luogo. Allo stesso tempo è compito dello psicoterapeuta supportare un paziente che ha intrapreso una terapia farmacologica, lavorando sulle eventuali resistenze. La mente è un sistema complesso ove la dimensione biologica e quella esistenziale si compenetrano profondamente, comprendere questo aspetto è necessario per non cadere in posizioni estreme prive di alcun fondamento (“la psicoterapia non serve a niente”, “gli psicofarmaci fanno solo male”)
4) gli “psicofarmaci” sono in realtà un gruppo assai eterogeneo che comprende al suo interno classi e sottoclassi con importanti differenze anche tra molecole affini. Generalizzare gli effetti a breve e lungo termine, spesso sulla base del sentito dire o di una letteratura “antipsichiatrica” è del tutto antiscientifico. Proprio in ragione della relativa elevata disponibilità di opzioni anche per la cura dello stesso disturbo, il medico deve scegliere sulla base delle caratteristiche individuali della persona e di una valutazione globale che tenga conto non solo delle condizioni psichiche ma dell’intera storia clinica del paziente (familiarità, quadro internistico, assunzione di altri farmaci). Individuare una terapia efficace e al contempo adatta al singolo paziente sin dalla prima prescrizione non è mai semplice e procedere a delle modifiche rappresenta quasi una regola.
5) come ogni farmaco, anche gli “psicofarmaci” comportano effetti collaterali e possono associarsi ad effetti avversi. Nel complesso, i farmaci di più recente introduzione, sono dei composti ad altissimo profilo di sicurezza, superiore a quello di medicinali assunti con più leggerezza (antibiotici, anti-infiammatori, diuretici). Buona parte dei più comuni effetti collaterali tende ad attenuarsi sensibilmente dopo le prime settimane di terapia. Un’attitudine negativa nei confronti del farmaco sin dall’inizio della terapia è deleteria, potendosi associare all’effetto “nocebo”, vale a dire la convinzione che in seguito all’assunzione del farmaco sia insorto un peggioramento dei sintomi iniziali o addirittura altri disturbi.
6) al contrario di quanto si creda, il fenomeno della dipendenza fisica (insorgenza di sindrome astinenziale in seguito all’interruzione del farmaco) è un fenomeno limitato ad una minoranza di “psicofarmaci”. Più spesso avviene che il paziente sviluppi una dipendenza “psicologica” dal farmaco, sulla base della convinzione che il suo benessere sia esclusivamente legato alla sua assunzione. La sospensione di una terapia farmacologica nei pazienti che ne hanno tratto beneficio rappresenta un momento anch’esso delicato in cui il supporto psicoterapico assume fondamentale importanza.
In definitiva, nella trattamento dei disturbi mentali, il farmaco va visto come un valido possibile (talvolta necessario) strumento di cura, a cui approcciarsi con serenità, nella consapevolezza delle sue potenzialità e dei suoi limiti.
Dottor Ludovico Mineo
Medico Psichiatra

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